Villadeati
(Al) (410 m s.m)
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Arco ingresso Castello |
 Ingresso Castello |
 Via dell'Asilo |

Scorcio dalla via centrale |

La Parrocchiale |

Cappella della Trinità (in via dell'Asilo) |
Il paese sorge alle falde meridionali
di un alto colle e domina la profonda val Versa. L'elemento
che ne caratterizza immediatamente la fisionomia è
la scenografica costruzione settecentesca del Belvedere. Nel
territorio comunale vi sono altri due centri abitati di una
certa importanza: Lussello e Zanco.
Nel X secolo il villaggio denominato Corte de Scataldeis
faceva parte dell' Astigiano. Successivamente il castrum
entrò a far parte di un sistema militare con funzioni
difensive costituito da due castelli eretti in posizione dominante
sulle valli della Stura e della Versa. Il primo di questi,
tenuto dai Visconti di Valenza, fu smantellato da Amedeo di
Savoia, accorso nel 1290 in aiuto degli astigiani contro il
marchese Guglielmo di Monferrato.
Su queste rovine fu costruito un castello del quale i Deati
furono a lungo feudatari lasciando così il loro nome
al borgo.
Nel 1541 il maresciallo francese Carlo Cossé de Brissac
occupò il maniero, che allora faceva da contrafforte
al maschio di Verrua. Espugnato da don Ferrante, il castello
fu nuovamente distrutto nel 1630 dal marchese Carlo I di Monferrato
e dal duca di Mantova. Le rovine, già occupate da truppe
gallo-ispane che vi stabilirono un presidio, furono concesse
ai nobili Del Prato, poi agli Arrigoni di Mantova: questi,
infine, vendettero i resti del castello e i relativi terreni
al giureconsulto Giacinto Magrelli, il quale fece costruire
l'attuale palazzo, collegandolo a una casa di proprietà
e denominandolo Belvedere. L'edificio poi passò in
eredità a Melania di Varisella, nipote del Magrelli,
al vescovo di Casale e nel 1917 all'avvocato Bossi di Villadeati.
Dopo un lungo periodo di decadenza e degrado è stato
restaurato negli anni Settanta del Novecento dall' editore
Gian Giacomo Feltrinelli.
La Parrocchiale, costruita su un edificio preesistente,
è stata consacrata nel 1823 e contiene due tele di
Guglielmo Caccia detto il Moncalvo. L'organo storico dei fratelli
Collino, lo spazio per l'orchestra, il pulpito, il confessionale,
il coro costituiscono un complesso ligneo in stile impero
che forse è unico in Piemonte
L'eccidio
di Villadeati .
Il fatto tragico divenne, subito, emblematico di un contesto
aspro di lotta, ma anche di un'irrazionale e sproporzionata
sete vendicativa sulla popolazione civile.
Il 9 ottobre 1944 un contingente di tedeschi, al comando del
maggiore Mayer, comandante la Piazza di Casale ed inserito
nel Kommandantur 1014 del colonnello Becker, salì dalla
strada di Moncalvo-Odalengo Piccolo verso la località
Tribecco. Qui, in due cascine e fra i boschi, da tempo si
erano accampati ed organizzati i partigiani della Monferrato,
alcuni gruppi spontanei. Nel cascinale vi era il Comando,
alcuni scarsi alloggiamenti, una cucina, un dormitorio, una
stanza per il tribunale, alcuni depositi.
Li guidava l'ex capitano dell'esercito Della Pietra Angelo
(detto Pontini) ed il vicecomandante Alberto Dellavalle (detto
Giusto).
Quel giorno, un lunedì piovoso d'autunno, alle 8 del
mattino, il contingente tedesco iniziò a sparare verso
il colle Tribecco; vi erano ventiquattro autonomi militari,
dotati di armi leggere e mortai; più di duecento soldati
guidati da Mayer ed un tenente delle SS.
Non trovarono i partigiani, perchè nella notte avevano
lasciato la sede, avendo intuito il rischio dei rastrellamenti.
Anche gli uomini quarantenni, ancora attivi, avevano lasciato
Villadeati.
Nel paese restarono solo donne, bambini ed anziani.
Il Tribecco è uno dei colli più alti del sistema
collinare del Monferrato (450 metri sul mare).
Nei pressi, in località Balma, a fine '43, si rifugiarono
alcuni prigionieri inglesi scappati dai campi di concentramento.
La popolazione di Villadeati li coprì, diede loro viveri
ed abbigliamento; offrì lavori saltuari.
A Tribecco, i tedeschi misero tutto sotto sopra; con i lanciafiamme
incendiarono la base dei partigiani. Lungo la strada fra Odalengo
Piccolo e Tribecco avevano già incontrato la signora
Vanna Baldassarri, vedova di Alfredo Tedeschi (stimato avvocato),
proprietaria della cascina di Tribecco affidata ai partigiani.
La catturarono e la condussero fino a Tribecco; qui dovette
assistere alla distruzione della cascina; le fu asportato
dal portafoglio tutto il ricavato dalle vendite delle uve.
Fu salva solo perchè, all'interno della cascina, videro
una foto di gerarchi fascisti.
La spedizione tedesca si diresse allora verso l'abitato di
Villadeati.
Ricostruiamo questi momenti grazie alla testimonianza della
sorella di Don Camurati, parroco del paese e ucciso assieme
a nove capifamiglia.
«Quel giorno i tedeschi si erano fatti sentire prima
in quel di Tribecco – ricordò Valentina Camurati
– e poiché non avevano catturato nessuno, piombarono
anche a Villadeati. Le case furono messe sottosopra. I viveri
portati via con prepotenza. Le stalle spopolate dai vitelli
e mucche; alcune bestie uccise e caricate sui camion. Gli
abitanti vennero radunati in piazza.
Un comandante tedesco scelse nove tra i capifamiglia. Ad essi
venne aggregato mio fratello, Don Ernesto. Aveva appena terminato
di celebrare la messa e usciva dalla chiesa. Rubarono carte
e documenti in canonica, la chiave del tabernacolo. Fatto
il gruppo, un plotone di tedeschi li uccise. Prima che il
mitra spegnesse la voce di Don Camurati si udì per
tre volte: «Tutti siamo innocenti. Ma uccidete me solo.
Lasciate andare a casa questi che sono capifamiglia».
Più dettagliato ed articolato il ricordo di Ondina
Lachello Maioglio; aveva ventidue anni al momento dell'eccidio;
era in attesa da pochi mesi.
“Subito non ci rendemmo conto. Gli spari e la violenza
dei tedeschi ci sembrava quella consueta di altri rastrellamenti.
Non credevamo nell'ipotesi di una fine così crudele.
In pochi minuti eravamo in preda al terrore. Nelle case c'eravamo
noi donne ed anziani. I tedeschi saccheggiarono casa per casa;
erano tantissimi e violenti. Ci rubavano cose, soldi, viveri,
animali, vestiti, vino, i pochi gioielli. Dato il mio stato
di gravidanza, mi fu impedito da un'amica di vedere; fui obbligata
in casa. Dietro un muretto ed una siepe, vidi poi un drappello
di tedeschi che conduceva l'amato parroco Don Camurati. Intravidi
il fiocco del suo tricorno. Speravo ancora nella sua capacità
ad intercedere per la liberazione.”
Dopo aver saccheggiato tutto il paese, i tedeschi radunarono
in piazza una cinquantina di uomini, quasi tutti capifamiglia;
si portarono poi al rondò di S. Remigio, ai piedi del
paese, in uno spiazzo fra tre strade.
Qui Mayer minacciò l'uccisione di dieci civili, se
entro le ore 12 non fossero stati resi noti i nascondigli
dei partigiani.
Un gruppo di tedeschi, nel frattempo, catturò Don Camurati
nella chiesa parrocchiale; in canonica, misero sottosopra
tutto; la sorella Valentina non potè far altro che
indicare la chiesa.
Don Ernesto pregava ancora. Mayer occupò una casa del
paese; qui interrogò Don Camurati.
Alcuni testi parlano di Mayer come un ufficiale, alto, in
divisa da Wehrmach, di forse quarant'anni, non delle SS, né
della Polizia tedesca.
Don Camurati argomentò di non conoscere i nomi dei
partigiani; difese la gente di Villadeati, come gente operosa
e dedita alla famiglia ed alla pace.
Mayer fu irremovibile. Definì “ribelle”
anche Don Camurati.
Di fronte al gruppo radunato, il maggiore additò uno
per uno i predestinati alla fucilazione, compreso don Camurati.
Creò un gruppo di quattordici persone. Venne poi graziata
la signora Baldassarri; il fornaio Vincenzo Gippa ed Edoardo
Druetto. Vennero salvati per un intervento del generale Botto,
pensionato a Villadeati.
Botto era un noto ufficiale dell'Aviazione Regia; partecipò
anche alla guerra di Spagna; fu ferito in combattimento; con
la RSI venne nominato sottosegretario del Ministero dell'Aviazione;
nel '44 venne congedato e si stabilì a Villadeati.
Lo storico casalese Idro Grignolio (1922, militare nell'aviazione)
ricorda di aver saputo dalla Baldassarri che Botto chiese
a Mayer di salvare i civili catturati a Villadeati; offrì
l'amputazione dell'altra gamba in cambio. Ottenne solo la
liberazione dei due più giovani.
Furono attimi tesissimi; alcuni testimoni narrarono che si
udirono grida disperate, invocazioni verso i familiari.
Il parroco chiese al maggiore Mayer un gesto di umanità
e di permettere un ultimo abbraccio.
Un sottotenente delle SS lo respinge e lo invitò ad
iniziare le preghiere.
Don Camurati benedice, apre il breviario e prega.
I fucili automatici eseguono l'eccidio. Resta un groviglio
di corpi e sangue. Erano le ore 12.
Secondo le testimonianze di alcuni congiunti delle vittime,
il maggiore esclamò «Il pastore era duro a morire».
Vennero finiti tutti con una rivoltellata alla nuca.
Questo l'elenco delle vittime di Villadeati: Don Ernesto Camurati,
anni 46; Caprioglio Angelo, anni 50 e tre figli; Dorato Carlo,
anni 44, con un figlio; Dorato Giuseppe, anni 50, due figli;
Gippa Clemente, anni 60, due figli; Lanfranco Felice, anni
44, due figli; Odisio Carlo, anni 45; Odisio Luigi, anni 49,
quattro figli; Odisio Giuseppe, anni 52; Quarello Luigi Pietro,
anni 57; Vallone Ernesto, anni 49, quattro figli (Quarello
Pietro venne ucciso poi, il 24 ottobre, da repubblichini di
Asti, in un successivo rastrellamento). Caprioglio Angelo,
d'origine milanese, venne catturato mentre era in cantina
impegnato nelle operazioni di vendemmia.
Dopo l'eccidio, i soldati tedeschi seguiti dai militi repubblichini,
risalgono sui camion carichi di bottino e si dirigono verso
Murisengo e Cerrina per completare il rastrellamento.
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