Chiamata
più spesso "Villa Tesoriera" per il suo apparire
nel verde, al centro di un parco, lungo il rettilineo di corso Francia,
ai numeri 186 e 192, trae il nome dall'essere stata edificata nel
1714 per il tesoriere generale di Vittorio Amedeo II, Ajmo Ferrero
di Cocconato, sui terreni di una cascina di sua proprietà,
dall'architetto e pittore Jacopo Maggi, chierico teatino (1658-1739);
almeno secondo l'attribuzione più consistente. Un salone
sviluppato su due piani, secondo la caratterisctica delle ville
piemontesi, occupa il centro dell'edificio, e intorno sono distribuite
le varie sale. La Tesoriera fu inaugurata da Vittorio Amedeo II.
Venduta poi al marchese di San Marzano, quindi all'avvocato Donaudi;
nel 1846 venne acquistata dai marchesi Arborio di Breme e di Sartirana,
che arricchirono il parco di piante esotiche e di uno zoo visitato
dai torinesi del secolo IXX e composero in due sale unite una biblioteca.
Passata per eredità ai duchi d'Aosta, questi la cedettero
poi all'Istituto Scolastico Sociale dei padri Gesuiti. Il parco
della Tesoriera serve spesso da scenario per ricevimenti, soprattutto
per matrimoni.
(da Palazzi di Torino di
Enzo Rossotti)
Sul lato destro del palazzo, nel parco, vi
è un monumento denominato "Cuor di Re" che ritrae
Vittorio Emanuele II seduto su un muretto mentre abbraccia un bambino
scalzo ed alla sua destra siede un cane. L'opera è del siciliano
Ettore Ximenes (1855-1926) collocata nel 1886.
PALAZZO SOLARO del BORGO
Nato fra il 1644 ed il 1656 come residenza del marchese
lorenese Harvard de Senantes, l'edificio passa nel 1963 agli Isnardi
di Caraglio, che in seguito ne commissionano il rifacimento all'architetto
Benedetto Alfieri.
A lui si devono la manica verso via Lagrange, i fronti delle corte,
l'atrio, lo scalone. Regista della decorazione d'interni è
ancora Alfieri, a cui va associato, dopo la sua morte nel 1767,
Filippo Castelli
Negli appartamenti, in cui ebbero luogo nel 1771 i festeggiamenti
per il matrimonio fra Maria Giuseppina di Savoia ed il futuro
Luigi XVIII, offerti dall'ambasciatore di Francia che vi risiedeva,
si distinguono: il grande scalone (la cui volta dipinta da Bernardino
Galliari nel 1758 è stata distrutta nel 1942) decorato
da stucchi di Giovanni Battista Bernero, le sale verso la corte
con sovrapporte opera di Michele e Vittorio Amedeo Rapous, la
biblioteca, la galleria ed il prezioso salottino ottagonale.
Nel 1841, in ragione della nuova destinazione del palazzo, dal
1838 sede dell'Accademia Filarmonica e dal 1947 del circolo Società
del Whist (fondato nel 1841 dal Conte di Cavour), l'architetto
Giuseppe Talucchi realizza, con piena aderenza ai canoni neoclassici,
l'Odeon per i concerti, sostituendo una terrazza realizzata il
secolo precedente da Benedetto Alfieri
PALAZZO
DELL'ARSENALE
Colpisce il visitatore per la sua
mole, non predisposto a immaginarselo nel centro della città,
in un punto in cui, un tempo, era la periferia. Al numero 22 della
via che prende il nome dall'imponente edificio all'angolo con via
dell'Arcivescovado dove si fondevano i cannoni. Un tempo la fonderia
si trovava in piazza Castello, nei bassi edifici che ingombravano
la piazza Reale. Carlo Emanuele II pensò bene di trasferirla
fuori del centro, e diede avvio, nel 1659, alla costruzione del
nuovo casamento. Vittorio Amedeo II, succeduto al padre, decise
quasi subito di far proseguire i lavori che non furono completati
se non con l'ascesa al trono di Cralo Emanuele III, un promotore
dell'industria e dei commerci. Nacque così la grande "Fonderia
dei cannoni" più famosa d'Europa. Nel 1819 era incompleta
l'architettura dell'ingresso, nel cui atrio erano collocati quattro
cannoni modellati e fusi da Giuseppe Boucheron e da Giorgio Albenga.
La facciata sull'angolo delle vie Arsenale e Arcivescovado fu eseguita,
arricchita da figure simboliche, nel 1890 su disegno del Devincenti.
Nel 1834 Carlo Alberto ordinava a Giuseppe Bogliani un monumento
ricordo di Piero Micca da collocare nel cortil. Danneggiato dai
bombardamenti del 1942-43 e restaurato, l'antico Arsenale ospitò
poi le Scuole di Applicazione d'Arma.
PALAZZO
CACHERANO DI BRICHERASIO
Delimitato dalle vie Lagrange, Teofilo Rossi e Gobetti, al
numero 20 di via Lagrange, l'edificio anticamente era parte dell'
"isola" di Santa Crisctina, una delle prime a dare un
assetto a quella che venne definita "città nuova"
nel quadro del fervore urbano che animò Torino. Di proprietà
dei conti Solaro di Monasterolo all'inizio del Settecento, cambiò
di proprietà nel 1855 che passò ai Cacherano di Bricherasio.
La faciata è rimasta pressochè intatta, come il portone
monumentale. L'architetto Barnaba Panizza nel 1863 operò
a lungo nell'edificio e costruì l'ala porticata sovrastata
dal terrazzo. Lo stemma dei Bricherasio con la data 1865 compare
sul pianerottolo dello scalone monumentale, verso via Teofilo Rossi.
Nel 1950 l'edificio fu dato in donazione all'Opera don Orione. Nel
1990 venne acquistato dalla "Società Palazzo Bricherasio".
Ora sede della Fondazione Bricherasio, con spazio espositivo per
rassegne artistiche a livello internazionale. Il palazzo è
indicato dai torinesi come "la casa in cui è nata la
Fiat" e ciò perchè fra le sue pareti fu stilato
l'atto costitutivo della casa automobilistica.
PALAZZO
BIRAGO di BORGARO
Via Carlo Alberto 16.
Il palazzo è una delle prime imprese architettoniche torinesi
di Filippo Juvarra, che si trova a sperimentare il tema della residenza
nobiliare di alto livello. Costruito a partire dal 1716, il palazzo
presenta un cortile d'onore ad alta valenza scenografica, con fondali
curvilinei lungo i quali le carrozze potevano eseguire la conversione.
Definito in facciata da lesene che pongono in risalto i settori
corrispondenti ai tre accessi, è ornato, a livello del cornicione
da due balaustre coronate da statue molto probabilmente provenienti
dai giardini del castello di Venaria Reale, donate nella seconda
metà del settecento al conte di Borgaro.
Nel fronte sulla corte il gioco illusionista della finta strombatura
dell'arco centrale del piano nobile ripete il motivo a serliana
del piano terreno, corrispondente all'atrio.
Questa apertura tripartita incornicia, per chi osserva dalla strada,
il fulcro delle quinte architettoniche della corte, ornamento non
solo del palazzo, quindi, ma anche della pubblica via.
PALAZZO
BIRAGO di VISCHE
Via Vanchiglia 6.La costruzione del palazzo
Birago di Vische risale al IV decennio dell'Ottocento. Promotore
fu il Marchese Carlo Emanuele Birago di Vische, figlio terzogenito
del Marchese Enrico, investito del feudo Vische nel gennaio 1791,
e di Luigia, figlia del conte Francesco Perrone di San MArtino.
Carlo Emanuele era un personaggio di spicco della corte sabauda
(Carlo Alberto nel 1868 lo nomnò infatti "gentiluomo
di camera") ed intraprese e diresse i lavoro per la costruzione
della dimora cittadina. Nel 1840 acquistò dalla città
di Torino per un ammontare di lire 18.541,67 il terreno su cui avrebbe
fatto sorgere il Palazzo, posto nel quadrilatero formato dalle contrade
di Vanchiglia, del Moschino, contrada della Zecca e contrada dei
Pescatori. Il progetto della costruzione fu affidato all'achitetto
Antonio Talentino (Castellamonte 1806-Torino1853) che, nel 1839,
fece i disegni "delli nuovi fabbricati" ancora
oggi conservati nell'Archivio Storico della Città di Torino.
L'edificio all'inizio del '900 passò in proprietà
alla famiglia Soldati, Conti di Ferrara, e da questi al Comune che
lo acquistò nel 1981 come Ospedale Amedeo di Savoia. La sobrietà
dell'ornato, la purezza delle linee e l'eleganza della struttura,
sono elementi peculiari di quest'edificio, esempio d'architettura
ottocentesca. Dal 1993 il primo piano nobile del prestigioso Palazzo
Birago di Vische è stato promosso in sede dell'Associassion
Piemontèisa.
Tratto dal sito Associassion Piemontèisa
PALAZZO
CHIABLESE
Il palazzo rimaneggiato e decorato da Benedetto Alfieri verso il 1740,
con sontuosi appartamenti ai quali si accede per un imponente scalone.
Prende il nome dall'essere stato assegnato come abitazione al duca
del Chiablese, benedetto Maurizio, figlio di Carlo Emanuele III. Fu
poi abitato da Carlo Felice e dalla sua vedova, la regina Maria Cristina;
quindi divenne residenza dei duchi di Genova. Vi si conserva una cospicua
biblioteca di storia e d'arte militare in parte poi assorbita dalla
Biblioteca Reale.
PALAZZINA
MAFFEI
In corso Montevecchio al n° 50
si trova la Palazzina Maffei uno dei più bei palazzi Liberty
di Torino, eretta dall'architetto Antonio Vandone fra il 1904 e
il 1906. Sui balconi si ramifica una fluente decorazione in ferro
battuto, e sotto il cornicione tre grandi figure femminili nude
conferiscono all'insieme un effetto di raffinato pittoricismo.
COLLEGIO
DELLE PROVINCE
In piazza Carlo Emanuele II (Carlina) nel lato ovet simmetrico
alla chiesa Santa Croce, si trova il Collegio delle Provincie, opera
di Bernardo Vittone (1729). Fu edificato per dotare di adeguata
sede il Collegio fondato nelle prima metà del Settecento
allo scopo di selezionare e mantenere agli studi i giovani più
meritevoli, indipendentemente da nascita e censo: una tradizione
dalla quale lo stato sabaudo trasse generazioni di funzionari fedelissimi,
spesso elevati a posizioni di massimo prestigio. Ora l'edificio
è sede del Comando Regione Piemonte dei Carabinieri ed è
intitolato a Chiaffredo Bergia.
CASA TASCA
In via Beaumont n.3, verso piazza
Statuto troviamo casa Tasca, costruita da G.B Bernazzo nel 1903,
è famosa per i bovindo molto sporgenti agli angoli e dalla
decorazione in cemento dei parapetti dei balconi.
CASA FENOGLIO (LA FLEUR)
Una delle costruzioni Liberty più belle dell‘intera
città, posta all‘incrocio tra corso Francia e Via Principi
d‘Acaja. Qui si trova casa Fenoglio - La Fleur. La casa del
progettista ha le pareti laterali scandite di fregi convergenti
sul corpo centrale con un grande bovindo dai vetri colorati. Con
la finta balaustra di ferri battuti. Davanti al capolavoro che Fenoglio
progettò prima del 1902, in netto anticipo con l ‘esposizione
di maggio, non si può fare altro che rimanere senza parole.
FETTA DI POLENTA(Palazzo
Barberino)
Anno 1850 Alessandro Antonelli termina questo stabile
su una superficie molto esigua: 27 metri sul lato di via Barolo
per 5 sul lato di corso San Maurizio e 0,70 sul lato opposto. Su
questo triangolo l'architetto seppe realizzare, si dice per scommessa,
questa casa. Il palazzo è dotato, per l'accesso ai diversi
piani, di una scala a chiocciola che, naturalmente, non permette
il passaggio dei mobili. Per favorire i traslochi è stata
posta una carrucola sul balcone dell'ultimo piano.E' chiamata Fetta
di polenta, oltre che per la sua forma, anche per il colore
che richiama la polenta, ma il suo vero nome è Palazzo
Barberino. All'interno sono stati ricavati 2 locali per
piano ed un servizio igienico nei piani ammezzati. In tutto ci sono
26 locali. La sua forma, le sue dimensioni scoraggiarono le persone
ad andarci ad abitare in quanto si pensava che si sarebbe facilmente
abbattuta al suolo. Per dimostrare quanto avessero torto, per qualche
anno, ci andò proprio l'Antonelli con la sua famiglia e per
di più, agli ultimi piani giudicati i più pericolosi.