TORINO

CORSO VITTORIO EMANUELE II
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verso le montagne
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all'altezza di Porta Nuova
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verso la collina
Il corso inizia dal ponte Umberto I per finire in corso Francia. Dedicato al «Padre della Patria», come veniva definito, e, anche al «Re Galantuomo» è fra tutti i viali torinesi il più imponente, alberato per gran parte della sua lunghezza. Il corso è stato tracciato nel XIX secolo, quando la città ha superato l'antico perimetro delle mura ed ha incominciato a diventare città industriale. La prima parte dell'arteria, da Porta Nuova al Po, fu aperta nel 1814 con il nome di corso del Re poi viale dei Platani, corso di piazza D’Arme, di S. Avvento. In seguito venne prolungato verso nord-ovest, in occasione dello sviluppo urbano progettato dall'architetto Carlo Promis. Fino a Porta Nuova non ha portici e si incontrano palazzi come il Rossi di Montelera e il Priotti, dopo Porta Nuova è porticata fino a corso Galileo Ferraris dove si incontra il monumento dedicato al Re
VIA SAN PIO V
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Torino ha voluto dedicare questa via al pontefice Pio V, Antonio Michele Ghislieri, l'unico pontefice nato in Piemonte (Bosco Marengo 17/01/1504). Via parallela a corso Vittorio Emanuele II inizia in via Nizza e termina in corso Massimo d'Azeglio, fu ufficialmente aperta nel 1864, anche se le prime case vennero edificate a partire dal 1854. Alla fine dell’Ottocento al numero 11 vi era la casa degli Angioli Custodi, istituita nel 1857, il cui scopo era quello di fornire un’istruzione casalinga ed un’educazione morale e religiosa alle povere giovani raccolte per la strada e un asilo per una sessantina di lattanti mantenuti grazie alla beneficenza della contessa Boncompagni nata Pollini. Via San Pio V è una via dalla tripla anima: case del dopoguerra e degli anni Sessanta e Settanta nel suo tratto iniziale (cioè nei pressi di corso Massimo d’Azeglio), la Sinagoga (che si apre nella pedonalizzata piazzetta Primo Levi) nel secondo, di nuovo palazzi antichi (che ospitano bar, ristoranti e locali vari) verso via Nizza.
VIA SACCHI
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Scorre parallela all’ultimo tratto della ferrovia, quello che porta alla stazione di Porta Nuova, tra l’incrocio con corso Sommeiller e la confluenza con corso Vittorio Emanuele. E’ il 26 aprile 1852: durante i preparativi per il trasferimento in luogo più sicuro delle regia officina per la fabbricazione delle polveri da sparo e della raffineria dei nitrati di zolfo, situate nel cuore del Borgo Dora detto anche Borgo Pallone (da cui il termine dialettale Balòn), succede l’irreparabile. All’improvviso, per cause imprecisate, un’ampia porzione della fabbrica salta in aria insieme a cinque tonnellate di polvere da sparo, causando la morte di 26 civili. Quasi tutte le case vicine vanno distrutte, ma la tragedia potrebbe assumere dimensioni inimmaginabili. Soltanto l’eroismo del sergente dell’arma di artiglieria Paolo Sacchi, a capo di un gruppetto di coraggiosi, evita il peggio: costui, con incredibile eroismo, riesce nell’impresa di isolare le fiamme dalle centinaia di barili di polvere esplosiva rimasti intatti.Durante la consegna di una delle tante onorificenze ricevute. Paolo Sacchi si schernì: “E’ stata la Madonna della Consolata a proteggere la città, non io”
fonte: La Stampa (Maurizio Ternavasio)
VIA/CORSO MONTEVECCHIO
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Strada parallela a corso Stati Uniti da via Sacchi a corso G.Ferraris, diventa corso fino a corso Castelfidardo. La via e il corso in un quartiere discreto, fitto di case che risalgono al primo Novecento, sono dedicati a Rodolfo Gabrielli, conte di Montevecchio, valoroso generale che prese parte alla guerra di Crimea.
VIA CAMERANA (già del Gazometro)
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Via del Gazometro la si raggiunge provenendo dalla Strada di Stupinigi e svoltando a sinistra sul corso Duca di Genova: la prima a destra di quest’ultimo è proprio via del Gazometro (perpendicolare a via della Ginnastica), che finisce in corso Piazza d’Armi.
Adesso riscriviamo l’indicazione con la toponomastica attuale: per andare in via Camerana, nel cuore del quartiere Crocetta-San Secondo, occorre percorrere via Sacchi in direzione della stazione, girare a sinistra in corso Stati Uniti e poi alla prima a destra, che èappunto la via in questione (perpendicolare a via Magenta), che termina il suo percorso in corso Vittorio Emanuele II°. Così va meglio, vero? Passato e presente, insomma. Il passato è quello del grandioso edificio che, dal 1838, forniva l’illuminazione a gas grazie all’intraprendenza di una Società anonima di torinesi e lionesi, che ottennero dal governo e dall’amministrazione civica la facoltà di illuminare la città. La via «dove si innalzava l’attuale fabbricato, chiamato impropriamente Gasometro, che per l’esterna sua architettura e per la ben intesa distribuzione interna delle diverse concernenti officine si meritò le lodi dei visitatori stranieri e nazionali», fu aperta nel 1847.Il presente è invece quello di una arteria ricca di palazzi di un certo pregio architettonico dalla doppia anima. Nel primo tratto, quello che collega via Legnano a via Montevecchio, una serie di edifici ben tenuti, due dei quali con dei meravigliosi bovindi alla francese. Il secondo, invece, è un po’ più trasandato, anche in virtù del continuo via-vai della attigua stazione. Poche botteghe, la nuova sede dell’ente Bartolomeo & C, un locale di strip-tease, un paio di ristoranti, un albergo facente parte di una catena internazionale, un sexy-shop: queste le attrazioni dell’attuale via Camerana, che a differenza del secolo scorso inizia in via Legnano, anziché dall’attuale corso Stati Uniti. Per finire, qualche notizia sul personaggio cui si deve il toponimo. Giovanni Camerana, nato a Casale Monferrato nel 1845 e morto a Torino sessant’anni più tardi togliendosi la vita, fu un magistrato che ebbe fama in qualità di scrittore di sensibilità tardoromantica e di critico d’arte nel periodo della cosiddetta Scapigliatura: il movimento artistico letterario della seconda metà dell’Ottocento altro non era che la libera traduzione del termine francese bohème (vita da zingari), riferentesi alla vita disordinata e anticonformista degli artisti parigini. Oltre che poeta, fu anche pittore, e lasciò alcuni nitidi paesaggi che esprimono soprattutto un’invincibile solitudine.
fonte: La Stampa (Maurizio Ternavasio)
CORSO MASSIMO D'AZEGLIO
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Una volta, almeno sino ad una ventina di anni fa, era sinonimo di prostituzione: “andare in corso Massimo” era un modo elegante per dire che si era interessati alla compagnia di qualche passeggiatrice (eufemismo). All’epoca molti angoli della zona attorno al corso (via Ormea, via Petrarca, corso Galileo Galilei…) erano “occupati” da professioniste del sesso itinerante. Ora il fenomeno si espanso in tutta la città, specie in periferia, e la fama di corso Massimo d’Azeglio (quartiere San Salvario-Valentino) è unicamente legata al fatto di essere uno dei viali più belli di Torino. Il toponimo lo deve a Massimo Tapparelli dei marchesi di d’Azeglio(Torino, 1798-1866), statista, presidente del consiglio, scrittore nonché pittore. Inizia in corso Vittorio Emanuele II, dove c’è il monumento a lui dedicato un tempo dislocato sulla soglia dei giardini di piazza Carlo Felice, e finisce in corso Bramante, al di là del quale continua come corso Polonia. A proposito di monumenti: quasi di fronte al castello del Valentino vi è quello dedicato a Quintino Sella, opera del Reduzzi, inaugurato nel 1894. Il corso, che da un lato costeggia il Valentino, e dall’altro è ricco di edifici prestigiosi, scorre laddove, sino alla fine dell’Ottocento, erano dislocate le cascine Ballard, Olla, Perrone, Maggiordomo, San Paolo, L’ergastolo, La Passerona: aperta campagna, insomma, almeno nel suo tratto finale. Vi si alternano costruzioni recenti, comunque di gusto (ad esempio quelle ai civici 2, 8, 10, 12, 16 e 22) a basse palazzine ed edifici costruiti nei primi trent’anni del Novecento: in uno di questi, all’angolo con via Silvio Pellico, abitò per quasi tutta la vita il noto sensitivo Gustavo Rol. Al numero 42 sorge l’Istituto elettrotecnico nazionale Galileo Ferraris, quello che lancia il segnale orario a tutta l’Italia. Più avanti vi è una serie di edifici che ospitano aule e laboratori della facoltà di medicina. Dopo corso Dante, nell’area ora occupata dal liceo Alfieri, sino al 1960 vi era la sede della Società ippica torinese, uno dei capolavori architettonici di Carlo Mollino.
fonte: La Stampa (Maurizio Ternavasio)
VIA DELLA ROCCA
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E’ una delle vie più chic di Torino: pochi negozi, ma molte botteghe artigiane di pregio, gallerie d’arte, laboratori, ristoranti e locali di tendenza. E, al numero 7 (palazzo Thaon di Revel), la sede principale dell’Istituto statale d’arte Aldo Passoni. Via della Rocca, che si trova nella parte est del centro, congiunge corso Vittorio Emanuele II con piazza Vittorio Veneto, ed è praticamente parallela al fiume Po. I suoi palazzi sono di grande pregio architettonico, specie nel tratto compreso tra via Mazzini e via Giolitti, ed è conosciuta come la via dei nobili in virtù delle numerose famiglie patrizie che ci abita(va)no: se si consulta una guida telefonica della fine degli anni Sessanta, ci si imbatte nei nomi di Icheri di San Gregorio, Della Chiesa di Cervignano e Trivero, Biscaretti di Cuffia Chiò, Radicati di Primeglio, Amari di Sant’Adriano, Balbiano d’Aramengo…Un po’ di storia, come sempre. Inaugurata nel 1825, una delle poche vie per le quali si rinunciò alla linea retta, imprescindibile caratteristica di quasi tutte le arterie cittadine dell’epoca, prendeva il nome dalla località, esistente in quella parte dell’agro torinese, che sin dai tempi più remoti fu denominata della Rocca in virtù di un piccolo forte con torre, detto Bastione della Rocca, di cui si hanno notizie sin dal 950. Il sito occupato dal piccolo forte della Rocca funzionò sino al 1829 come cimitero; nelle immediate vicinanze, nel 1777, vi fu eretta una chiesa dedicata a San Lazzaro. Ecco alcuni numeri civici della via che hanno fatto (anche) la storia di Torino: al numero 1 vi morì, nel 1864, l’astronomo Giovanni Plana, fondatore dell’Osservatorio Astronomico della città; l’edificio al civico 13 di proprietà del barone Fedele Claretta, reso suggestivo da un meraviglioso giardino interno, fu residenza degli ambasciatori di Spagna e di Napoli, mentre al 14 aveva sede la Società di scherma e di beneficenza della Guardia Nazionale di Torino, istituita nel 1850.
fonte: La Stampa (Maurizio Ternavasio)
VIA NAPIONE
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Il protagonista di questa via: il conte di Cocconato Napione, di nome Giovanni Francesco, secondo nome Galleani, nacque a Torino nel 1745. Dopo la laurea in Giurisprudenza, iniziò ad interessarsi di politica, ma non solo. Fu presidente del consiglio delle Finanze, animatore delle accademie cittadine Sanpaolina e Filopatria, coordinatore di coloro che ebbero l’incarico di riformare l’università torinese, vicepresidente dell’Accademia delle Scienze, sovrintendente degli archivi di corte, esperto di architettura e delle scienze mineralogiche: insomma, una sorta di Pico della Mirandola tenuto in grande considerazione dalla casa Savoia. Nel 1812 fu eletto membro della rinata Accademia della Crusca. Proficua fu pure la sua attività divulgativa e letteraria: da “Dell’uso e dei pregi della lingua italiana” a “Vite ed elogi di illustri italiani”, da “Estratti di opere di grido” a “Lettere sull’architettura”. Napione morì a Torino nel 1830, quando ormai la sua figura era assai nota anche all’estero. La via a lui intitolata, tracciata nel 1825, si trova in Vanchiglia. Parte da corso San Maurizio, termina in corso Regina Margherita, e scorre più o meno parallelamente al Po. Una strada piuttosto trafficata e rumorosa, percorsa pure dal tram, che nel tratto iniziale, sulla destra, presenta diverse case di gran pregio, alcune delle quali si affacciano sul lungopo Macchiavelli. Il numero 2 è occupato dal museo Casa Mollino, una sorta di esposizione permanente del grande architetto torinese gestita da Filvio e Napoleone Ferrari. Fu il pittore Vittorio Avondo a finanziare, con l’ingegner Bologna, la costruzione di diversi palazzi del quartiere tra i quali proprio per questo, poi donato alla Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti (fondata a Torino nel 1874) perché ne facesse la propria sede. In via Napione aveva il negozio (un laboratorio di sviluppo e stampa fotografica) Arturo Ambrosio, il fondatore della più importante e prestigiosa casa cinematografica di produzione italiana. Negli anni Venti, fino alla fine degli anni Cinquanta, in questa via si trovava uno sferisterio nel quale si giocavano gli incontri di pallone elastico. In un palazzo dalla doppia entrata (via Napione e via Bava) ha vissuto negli ultimi anni della sua breve esistenza Fred Buscaglione, mentre negli anni Sessanta hanno abitato nello stesso caseggiato, posto all’angolo con via Santa Giulia, lo scrittore Italo Calvino e l’editore Giulio Einaudi.
fonte: La Stampa (Maurizio Ternavasio)
CORSO REGINA MARGHERITA (già S.Massimo e Santa Barbara)
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Il corso, lungo quasi 10 chilometri, partendo ad est dal Po attraversa quartieri popolari, in un alternarsi di vecchie case e di costruzioni nuove, alberato per lunghi tratti, dal quartiere Vanchiglia, lascia sulla sinistra i Giardini Reali e le Porte Palatine, con un tunnel supera Porta Palazzo, attraversa il quartiere Valdocco dove un tempo vi era il patibolo (rondò dla forca) e, superata la ferrovia attraverso un sottopasso, costeggia il parco della Pellerina per poi terminare ad ovest nella tangenziale di Torino. Il corso è stato tracciato nel XIX secolo, quando la città ha superato l'antico perimetro delle mura ed ha incominciato a diventare città industriale. É intitolato alla Regina Margherita di Savoia, prima regina d'Italia(1878). Prima dell’attuale aveva un altro toponimo, anzi due: sino a piazza della Repubblica era conosciuto con il nome di corso Santa Barbara, mentre il secondo tratto era chiamato corso San Massimo. Aperto nel 1818, corso Santa Barbara derivava l’appellativo da una fontana, posta nelle vicinanze di un’antica cappella, la cui acqua, fresca e salubre, serviva al bisogno del mercato di Porta Palazzo. Corso San Massimo invece, inaugurato quattro anni più tardi, fu dedicato all’omonimo santo, primo vescovo di Torino, vissuto a cavallo tra il quarto e il quinto secolo.