TORINO

VIA GARIBALDI (già Doragrossa)
Via Maior o Praetoria per i Romani, l'odierna via Garibaldi mantenne per secoli il ruolo di decumanus maximus e di strada maestra di transito per la Gallia. Nel sec. XVIII rinunciò al tipico aspetto medioevale (vie strette, portici bassi con archi a sesto acuto, misere abitazioni con il tetto di paglia, stillicidio di acque piovane dalle gronde e di scarico dai lavelli domestici, presenza d'inconsueti pedoni grufolanti, contrassegnati dalla Tau, «T », dei frati Antoniani) e mutò volto con l'abbattimento di tutti gli edifici preesistenti e con la ricostruzione di nuovi e decorosi palazzi, su disegno di massima dell'ingegnere Ignazio Bertola..Quei lavori ebbero effettivamente inizio nel 1753 e si protrassero fino al 1775, rispettando il principio inderogabile del perfetto allineamento e facendo in modo che l'asse della via coincidesse con quello del Palazzo Madama (analoga operazione era stata portata a termine, quasi un secolo prima, da Francesco Lanfranchi nella contrada d'Italia, poi via Milano, ed era stata parimenti intrapresa da Benedetto Alfieri nella contrada del Palazzo di Città). Anacronisticamente irregolare si mantenne, invece, la configurazione delle vie trasversali, le quali conservano tuttora, oltre alle antiche denominazioni corporative, le poco lodevoli caratteristiche di un disordinato ed imprevidente piano urbanistico. Nondimeno anch'esse si vanno rimodernando, a mano a mano che le circostanze impongono provvedimenti draconiani. Il nome di via Doragrossa, sostituito con quello di Garibaldi immediatamente dopo la morte dell'Eroe, risale alla fine del Medioevo, quando le dòjre (rigagnoli derivati dal fiume Dora che scorrevano al centro delle contrade principali)... assunsero l'impresa della nettezza urbana. Nel 1801, della vecchia guardia edilizia sopravviveva ancora la civica Torre di San Gregorio, sull'angolo di via San Francesco, ostacolando il traffico con la sua larga base sporgente. D'altronde, chi avrebbe osato profanare con il piccone un cosi vetusto e storico monumento? Fu Napoleone a rompere gli indugi: cosi la torre venne abbattuta tra la costernazione della cittadinanza, non certo « ad onore e gloria del rettilineo », come il Thovez vorrebbe dare ad intendere o come se costituisse « un errore d'ortografia ». La via è stata la prima a essere dotata di rete fognaria(1823) e di illuminazione a gas(1846). Nota per le sue botteghe artigiane e per i suoi caffè, ha riacquistato la sua fisionomia originaria, grazie ad una capillare ristrutturazione e alla trasformazione in isola pedonale.
(da "storia aneddotica descrittiva di Torino - A zonzo per le vie della città" di Riccardo Gervasio)
VIA ROMA (già via Nuova)
Come il nome rivela (1871) è la principale arteria di Torino moderna. Il primo tratto, aperto su progetto del Vittozzi fra il 1615 ed il 1619, prese la denominazione di Via N uova ed immetteva in un'ampia spianata attraverso la breccia di San Carlo praticata nelle mura romane. L'area disponibile per l'ampliamento della città venne tosto recinta di bastioni ed occupata in brevissimo tempo dai dieci isolati della Città Nuova voluta da Carlo Emanuele: cinque per parte della contrada di Porta Nuova, secondo i disegni dell'architetto ducale Carlo Cognengo di Castellamonte, che nel 1620 erigeva altresì la Porta Vittoria « in finti marmi » per l'ingresso trionfale dei novelli sposi Vittorio Amedeo I e Maria Cristina di Francia (porta ricostruita tre anni appresso il nome di Porta Nuova). La Via Nuova, stando a quanto ne scrisse l'ambasciatore di Ferdinando II di Toscana nel suo diario personale (1643), aveva già palazzi uniformi muniti di cornicioni (ma senza grondaia, fino al 1830), conformemente al piano urbanistico tracciato dal Vittozzi nel 1613; tuttavia il decoroso sulla linea dei bastioni, stabilmente, con aspetto esteriore delle facciate non serviva che a mascherare le malconce strutture interne dei fabbricati preesistenti. Nel 1931 il Comune venne nella determinazione di rinnovare radicalmente la via in tutta la sua lunghezza, ed il progetto, realizzato da un'équipe d'ingegneri con la consulenza tecnica ed artistica di Marcello Piacentini, ebbe esecuzione entro il 1937. L'ingente cumulo di macerie dei vecchi stabili servì a colmare il canale Michelotti, ampliando notevolmente l'area del parco verso il corso Casale.
Via Roma, scintillante di marmi, spaziosa e chiara, con i suoi portici sorretti da colonne monolitiche di serizzo levigato, non è percorsa da linee tranviarie: la sua signorile compostezza mal si accomoderebbe con il traffico rumoroso.
(da "storia aneddotica descrittiva di Torino - A zonzo per le vie della città" di Riccardo Gervasio)
VIA PO
«La più bella e la più ampia delle vie di Torino è quella di Po, da ambo i lati ornata di portici, mettente in due piazze, e guardante da un lato il vecchio castello, dall'altro l'amena collina ». Cosi scriveva più di cent'anni or sono il Bertolotti. Ma anche « la più torinese... forse la più italiana di tutte le vie di Torino... » , come troviamo in un recente articolo del Chierici. In realtà a via Po si addicono gli appellativi più ambiti: patriottica, religiosa, goliardica, folcloristica, gentilizia..., che la storia pienamente giustifica. La contrà dij pòrti, iniziata da Amedeo Castellamonte nel 1674 e ultimata con architettura uniforme da Antonio Bertola nel 1718 (la precisazione è del Derossi, in Nuova guida per la città di Torino), aveva le case con i muri « di mattoni non imbiancati, né intonacati di calce », come diffusamente usava in quel tempo. Da Strada della Calce a passeggio regale. Sotto il ducato di Carlo Emanuele II, nella seconda metà del XVII sec, (1674) Amedeo di Castellamonte realizzò via Po e ultimata nel 1720; la via fu posta sull’antica Strada della Calce, chiamata così perché conduceva al porto dove arrivava la calce, trasportata sul Po insieme al legname. I suoi portici, nati da un'esigenza pratica, costituiscono il miglior espediente per spostarsi in caso di maltempo, senza dover ricorrere all'ombrello: così la pensava, indubbiamente, Vittorio Emanuele I allorché, nel 1819, diede ordine a Ferdinando Bonsignore di costruire i cosiddetti terrazzi di allacciamento. Il Re, abitudinario come tutti i Torinesi, ci teneva a compiere quotidianamente la sua passeggiata all'asciutto, sebbene le vie coperte, prima del 1830, non fossero ancora lastricate e le scabrosità dell'acciottolato non rappresentassero l'ideale per una comoda deambulazione! I portici, in caso di pioggia, facevano restare all’asciutto le regali teste dei Savoia, che passeggiavano per la via sul lato sinistro (dando le spalle a piazza Castello); il lato destro era quello decisamente… "volgare". Quando sorse, via Po fu definita "regina viarum": allora era la strada più ampia di Torino. Via Po è lunga 704 metri ed è larga 30 compresi i portici. Si noti che lo sviluppo attuale dei portici di Torino raggiunge complessivamente tredici chilometri.
(da "storia aneddotica descrittiva di Torino - A zonzo per le vie della città" di Riccardo Gervasio)
VIA PIETRO MICCA
Via Pietro Micca fu tracciata nel senso radiale (e perciò denominata, per antonomasia, la diagonale, sebbene in Torino esempi del genere non siano infrequenti), tagliando come una bisettrice l'angolo retto formato dalle vie Barbaroux e Viotti. Ne furono ideatori, nel 1885, il conte Ceppi ed il capo dell'amministrazione cittadina, il dinamico ed intraprendente sindaco Ernesto di Sambuy. Essa mette in comunicazione diretta le piazze Castello e Solferino. Il progettista, architetto apprezzatissimo (Luciana Frassati ne tratteggia la figura scrivendo di lui che « più invecchiava, più si modernizzava; eccetto che nell'austerità del carattere »), seppe affrontare con larghezza di vedute e con alta perizia ardui problemi di bonifica di vecchi quartieri e di antiche contrade, senza sacrificare opere architettoniche di rilievo. Fece demolire, per esempio, la chiesa ed il teatro di San Martiniano, ma escogitò in pari tempo il modo di ridurre le dimensioni della chiesa di San Tommaso (1896) di metri 8, senza comprometterne la stabilità ed il carattere stilistico.
(da "storia aneddotica descrittiva di Torino - A zonzo per le vie della città" di Riccardo Gervasio)
VIA PALAZZO DI CITTÀ (già Panierai)

da Piazza Castello

da via XX Settembre

da Piazzetta Corpus Domini

Le piccole tettoie che si notano in questa foto facevano da riparo alle teste dei soldati che si posizionavano per il passaggio dei personaggi illustri.
La via assume il nome del Municipio, che si scorge in fondo, di prospetto, e corrisponde all'antica contrada dei Panierai o di San Lorenzo, aperta nel 1619 da Carlo Emanuele I verso piazza Castello, in modo da allacciare la medesima direttamente con quella di San Silvestro (oggi del Corpus Domini). Ben poco di singolare e nulla affatto di appariscente offre allo sguardo nel suo primo tratto; perfino il tempio guariniano di San Lorenzo, giacché non differisce nell'aspetto esterno dagli altri edifici d'uso civile, sfugge all'attenzione del passante frettoloso che, lasciata piazza Castello, si addentra nella via. Si noti comunque che fu la prima ad adottare le cosiddette guide a rotaie a lòse di granito (1836), dopo la soppressione delle dòjre e delle pianche.
(da "storia aneddotica descrittiva di Torino - A zonzo per le vie della città" di Riccardo Gervasio)
VIA BARBAROUX (già dei Guardinfanti)

Parallela a via Garibaldi, da via Pietro Micca a corso Siccardi. La strada, nel cuore della vecchia Torino ricorda Giuseppe Barbaroux(Cuneo 1772-Torino 1843). Avvocato, ambasciatore del Regno di Sardegna presso il Papa, ottenne che Cuneo diventasse sede vescovile; nel 1831 Carlo Alberto gli affidò il ministero della Giustizia e l'incarico di riformare il codice sabaudo in senso progressista; ciò gli attirò antipatie e critiche, senza che il titubante Re lo difendesse; si ritirò a vita privata e, profondamente amareggiato ed isolato, finì la sua esistenza con un suicidio.
Molto antica, via Barbaroux prese il nome nel 1860, comprende quelle che erano dette dei Guardinfanti e della Madonnetta, procede fitta di negozi tra pareti che si fronteggiano vicinissime fino al corso Siccardi. Percorrendola, s’incontrano al n° 20 la casa Giriodi di Panissera, dove Silvio Pellico abitò con la famiglia dopo il ritorno dalla prigionia e scrisse "Le mie prigioni".

VIA DEI MERCANTI

verso via Garibaldi

verso via Pietro Micca
La via inizia da via Garibaldi e termina in via S.Teresa. La strada prende il nome dalla congregazione dei Mercanti. È fra le vie storiche di Torino più antica. A seconda dei periodi venne denominata Rue des Drapiers e, anche, contrada S.Giuseppe. Al n°9 tenne il proprio «studio» Vans Clapiè, qualificato come «il mago» oppure «il cinese», il quale, guardando una sfera di cristallo nel 1855, «vide» lo sbarco dei Mille in Sicilia, quindi, con cinque anni di anticipo sull'avvenimento.
VIA SAN QUINTINO
E’ una strada ricca di atmosfere, una delle più raffinate ed eleganti vie del quartiere Centro, ed anche in assoluto la più lunga, visto che congiunge via XX Settembre, nei pressi di piazza Paleopaca, con corso Vinzaglio, correndo parallela tra corso Vittorio Emanuele e corso Matteotti. Ed è particolarmente piacevole percorrerla tutta, rivolgendo ogni tanto un’occhiata in alto, per cogliere i particolari di edifici di gran pregio architettonico. Chi invece è un po’ più distratto o va di fretta, potrà apprezzare i tanti negozi e le numerose botteghe che si snodano, isolato dopo isolato, sul suo cammino. Che, tra l’altro, permette di incrociare, uno dopo l’altro, corso Re Umberto, corso Galileo Ferraris e, appunto, corso Vinzaglio, il proseguimento del fascinoso corso Duca degli Abruzzi. In uno dei suoi ultimi tratti, sulla sinistra, si scorge l’imponente fiancata della chiesa dei SS. Angeli Custodi, una delle parrocchie più importanti del quartiere. Che, per la sua posizione ai margini del quartiere Crocetta, raccoglie anche numerosi fedeli di questo borgo. Al contrario di quanto si potrebbe immaginare, la strada in questione non prende nome da un santo nostrano, bensì da Saint-Quentin, la località della Francia settentrionale, nel dipartimento dell’Aisne, che vide l’importante vittoria militare (1557) degli spagnoli di Carlo V comandati da Emanuele Filiberto di Savoia contro i francesi; tale battaglia è passata poi alla storia perché fece da preambolo agli accordi conclusi con il famoso trattato di Chateau–Cambresis del 1559. A San Quintino terminò così la decennale lotta per l'egemonia in Europa, prima tra Carlo V e Francesco I, poi tra Filippo II ed Enrico II: mentre gli spagnoli assumevano il dominio dell'Italia, il condottiero italiano Emanuele Filiberto ebbe come ricompensa il territorio della Savoia, di cui fu primo duca.
fonte: La Stampa (Maurizio Ternavasio)