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Burera
(Zangola). Attrezzo per ricavare il burro dalla panna. E' un vaso
stretto e alto, costruito con doghe (n) tenute insieme da cerchi
dello stesso legno chiusi ad incastro con un perfetto lavoro d'intaglio.
Nell'interno della zangola scorre la rotella (k), larga poco meno
della zangola stessa, con alcuni buchi per il passaggio della panna
nel corso dello sbattimento. Il manico (e), portante la rotella,
attraversa liberamente il coperchio (h) che è solo posato
sulla bocca del vaso e non fissato. Dal disegno della sua sezione
si comprende il perchè della sua strana sagomatura: ha un
profondo incavo nella parte inferiore, il quale insieme al lungo
incastro, non permette la fuoriuscita del liquido durante il lungo
e vigoroso sbattimento. La parte superiore è scavata a guisa
di scodella affinchè il liquido eventualmente trascinato
dal manico non tracimi ma ritorni nel vaso attraverso il foro centrale. |
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Cunòt
(Culla da braccio) Era la carrozzina per bambini di una volta. Le
ruote erano rappresentate dal braccio materno sotto cui la si portava.
Le maniglie erano le fessure(m) e insieme ai passanti (P) in cui
si stringeva lo straccale per assicurare il fragile contenuto
in una specie di cintura di sicurezza estemamente funzionale. Talvolta
le maniglie erano sostituite da due fori tondi in cui passare un
lungo bastone onde poterla portare a spalla anzichè sottobracio.
(M) indica l'intaglio, uno degli intagli in cui andava
ad inserirsi 'l sercc dël cunòt (arcuccio)
del disegno 2 mediante i suoi incastri(S). Era la piccola cappa
o sopracielo del lettino per riparare e difendere il suo
piccolo abitante dal sole e dagli insetti. |
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Ciucion
da puparin (poppatoio per lattonzoli). Strumento indispensabile
all'allevamento del bestiame in quanto permetteva di salvare il
lattonzolo privato della madre, per svezzarlo o per fargli assumere
rimedi curativi o ricostituenti. Il poppatoio raffigurato risale
al secolo XVI e venne ricavato da un pezzo di pino cembro lavorato
al tornio. Pure torniti sono il coperchio, che rimane in sede per
pressione ed attrito ed è più largo per formare appoggio
alle labbra del lattonzolo, ed il beccuccio di bosso
saldamente piantato nel suo centro. |
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1)
Cadregon forà. Detta anche seggetta, predella, comoda,
comodina, l'arredo di casa che anticipò il moderno vaso sifone
con cateratta posto nell'abitazione e non all'esterno di essa. La
seggetta possedeva un posabraccia (S) utile per persone
anziane alle quali principalmente l'arredo venne dapprima destinato.
Contro la sua parte aggirante posteriormente si arrestava la balta
del comodo (E) fungente da schienale dopo essere stata alzata
per scoprire l'apertura tonda dell'asse del comodo (F),
sollevabile, sotto la quale era il cantero o orinale
(O) di terracotta, destinato a ricevere gli escrementi.
2) Cassion dël còmod
(comodo). Era destinato all'esterno dell'abitazione in apposito
Posto del Comodo, vale a dire uno specifico sgabuzzino
separato dall'edificio, oppure sistemato nello Stambugio
(stanzino del buco) solitamente ricavato al lato estremo della balconata
esterna. Il Cassone del Comodo(C) occupava in larghezza
tutta la parete dello stanzino ad esso destinato, e sotto all'asse
del comodo (U) vi era appunto il cantero (1/O), più
tardi sostituito da un tubo a caduta diretta nel Bottino, il recipiente
rimuovibile trasformatosi poi nel Pozzo nero. La Bocca
dell'asse del comodo rimaneva costantemente chiusa con il Cariello
o Carrello (L), un Turaccio di legno con manico. |
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Lavaman
(lavamano). Era formato da un supporto a tre o quattro gambe reggenti
un cerchio, pure esso di metallo, entro cui era sistemata la catinella
di maiolica o di metallo smaltato, sempre accompagnata dalla brocca.
Nel disegno la brocca è formata da un contenitore a forma
di castello con sul davanti una specie di rubinetto per far colare
l'acqua direttamente nel catino. |
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Bidé.
Moderno recipiente per l'giene intima, ebbe sviluppo nel nord del
nostro paese e particolarmente tra le popolazioni pedemontane, deve
proprio il suo nome al sostantivo piemontese Bidet che
definiva il piccolo cavallo da campagna d'origine nordica e di poco
valore, il ronzino da sella che si italianizzò in Bidetto.
Attorno al 1760, quando il versatile Bacino (A) venne adattato in
un apposito mobiletto di legno sostenuto da quattro gambe di circa
40 cm, il sostantivo equino del linguaggio popolaresco passò
per metafora alla nuova supellettile “da cavalcare”
per servirsene. Il Bidè popolare (B) rappresenta
l'evoluzione del primordiale “cavalletto” porta bacino.
Un Bidè signorile del secolo XVIII è
invece la figura C ove si notano i raffinati Posasapone
e Portasciugamano |
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Àmsore
e Amsoiròt (falce e falcetto). Si possono paragonare,
come dice l'autore del libro, all'Airone (figura a), al Cigno (figura
e) e al Falchetto (figura i). Quest'ultimo arnese, ossia l'amsoiròt,
non si utilizzava per la mietitura, ma per la raccolta dell'erba,
particolarmente nei canneti, per le prode e per chisciare
laddove le ampie volute della Falce erano impedite da ostacoli ed
anfratti. Di forma assomigliava alla Messoria (e), vale
a dire che era rotondo, ma più piccolo di questa e con la
lama più larga. |
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Arbi
(bigoncia). La sola pigiatura delle uve si faceva dentro questo
apposito attrezzo. Ancora in uso qua o là, un tempo era adoperata
per l'ammasso dell'uva vendemmiata ed il suo trasporto con i buoi
fino all'aia o alla cantina. Era fabbricata con grandi tavole di
pioppo tenute insieme con chiodi cavicchi e vitoni rinforzati da
chiavi a dado (b). Le due grandi assi formanti i fianchi superiori
erano un tanto più lunghe per offrire quattro appigli (c).
In centro al contenitore vi era una terza chiave mobile (a) ad aggancio,
avente lo scopo di evitarne lo spancio a pieno carico. Gli uomini
e per divertimento anche i bambini (quanti ricordi), pigiavano le
uve il cui mosto veniva raccolto attraverso la Spina dopo
aver rimosso lo Zaffo (d) di legno piantato avvolto in
un pezzo di canavaccio. |
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Carëttin
(carrozzo). Era la passione del ragazzo intraprendente e temerario;
l'antenato indiscusso del Go-Cart, la realizzazione che
ci promuoveva tecnici, ingegneri, elaboratori, carrozzieri, piloti.
Veniva costruito con assicelle da casse e cassette, chiodi delle
medesime, rigenerati, un bullone con dado e rondelle relative, bastoni
da scopa. Le ruote: minimo tre cuscinetti a sfere per Carrozzi di
seconda categoria, quattro per quelli di prima, tutti possibilmente
della stessa misura per ragioni “direzionali”. Sospensioni:
del tutto assenti, eliminate coraggiosamente. Guida: a pressione
del piede sull'assale direzionale mobile anteriore. Propulsione:
spinta o spintoni, pendenza, traino da ciclo; puntale, ossia manico
di scopa usato con tecnica da gondoliere. Freni: doppio sistema:
a frizione(tacchi delle scarpe) ad impatto(paracarri, cespugli,
siepi, pali, muri e muretti, scalini e a volte le caviglie del Vigile
Urbano). Parti principali: assale mobile direzionale anteriore (i);
snodo centrale (k) a lubrifiaczione organica o salivale; sedile
(h) a funzione connettente, fisso, a distanza calcolata invariabile. |
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Cirimela
(lippa). Gioco degli ampi spazi (per evitare di spaccare vetri).
Gli attrezzi erano due: il bastone (a) e la lippa (b) vera e propria
da cui deriva il nome del gioco, entrambi ricavati da un manico
da scopa o da ramo d'albero. La lippa possedeva due punte che permettevano,
colpendone una con il Bastone, di alzarla e batterla al volo per
tirarla. Sempre colpita al volo, sia alzata da terra con il Bastone
che lanciata a mano, la lippa roteando nell'aria tesseva la fitta
trama del gioco. Il Bastone aveva due funzioni: l'una di battere
la lippa e l'altra quale unità di misura nella determinazione
dei punti. Alla Lippa potevano giocare due o più ragazzi
i quali si accordavano inanzi tutto sulla scelta del campo, sulla
direzione del tiro e sul punteggio da raggiungere per vincere la
partita. |
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Baudëtta
(gaudietta) Suonare le campane a festa. Per suonare la Gaudietta,
ossia per suonare le campane in doppio, come si diceva anticamente,
bastavano due campane delle quali una veniva percossa con tocchi
regolari ed intervallati. Dapprima fu la Campana Maggiore
battuta con tocchi regolari di Martelletto a mano, mentre
con un secondo martelletto si batteva sulla seconda in
punti diversi per ottenere tonalità differenti. Successivamente
le campane furono tre (da qui il verbo Tribaudëttè).
In seguito i Mastri Campanari arricchirono via via il suono a festa
rendendolo più complesso, ampio ed integrato da vere “arie”
per eseguire la quali occorrevano almeno cinque Campane disposte
come nel disegno. Ma non sempre disponevano di cinque bronzi, ossia
cinque note. Escogitarono perciò il Batòcc scond
(battaglio secondo) disegno sopra dove X è il manico forato-forgiato
in ferro- per agganciarvi il tirante; Y è il gancio pure
esso di ferro forgiato, per appenderlo al foro del battacchio. W
è il corpo in legno a sezione tonda, sul quale scorreva la
pera (K) metallica, da aggiustare alla conveniente altezza. La maniera
di disporre le campane sui campanili variava da posto a posto ed
era condizionata dal tipo di costruzione muraria e dal rapporto
di dimensioni tra le campane stesse e la cella campanaria. Per la
maggior parte erano disposte a cerchio, sullo stesso piano, come
in figura, dove il Campanone o Prima Maggiore (1) riempiva da solo
una finestra campanaria, parimenti alla: Seconda (2) ed alla Terza(3),
mentre la : Quarta (4) e la Campanella o Quinta, Squilla (5) erano
accoppiate in un unico vano. |
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