Attrezzi, oggetti e cose del passato per non dimenticare

Le descrizioni e i disegni sono tratti da "MEMORIE DI COSE" di Luciano Gibelli edito da La Stampa

Burera (Zangola). Attrezzo per ricavare il burro dalla panna. E' un vaso stretto e alto, costruito con doghe (n) tenute insieme da cerchi dello stesso legno chiusi ad incastro con un perfetto lavoro d'intaglio. Nell'interno della zangola scorre la rotella (k), larga poco meno della zangola stessa, con alcuni buchi per il passaggio della panna nel corso dello sbattimento. Il manico (e), portante la rotella, attraversa liberamente il coperchio (h) che è solo posato sulla bocca del vaso e non fissato. Dal disegno della sua sezione si comprende il perchè della sua strana sagomatura: ha un profondo incavo nella parte inferiore, il quale insieme al lungo incastro, non permette la fuoriuscita del liquido durante il lungo e vigoroso sbattimento. La parte superiore è scavata a guisa di scodella affinchè il liquido eventualmente trascinato dal manico non tracimi ma ritorni nel vaso attraverso il foro centrale.

Cunòt (Culla da braccio) Era la carrozzina per bambini di una volta. Le ruote erano rappresentate dal braccio materno sotto cui la si portava. Le maniglie erano le fessure(m) e insieme ai passanti (P) in cui si stringeva lo straccale per assicurare il fragile contenuto in una specie di cintura di sicurezza estemamente funzionale. Talvolta le maniglie erano sostituite da due fori tondi in cui passare un lungo bastone onde poterla portare a spalla anzichè sottobracio. (M) indica l'intaglio, uno degli intagli in cui andava ad inserirsi 'l sercc dël cunòt (arcuccio) del disegno 2 mediante i suoi incastri(S). Era la piccola cappa o sopracielo del lettino per riparare e difendere il suo piccolo abitante dal sole e dagli insetti.

Ciucion da puparin (poppatoio per lattonzoli). Strumento indispensabile all'allevamento del bestiame in quanto permetteva di salvare il lattonzolo privato della madre, per svezzarlo o per fargli assumere rimedi curativi o ricostituenti. Il poppatoio raffigurato risale al secolo XVI e venne ricavato da un pezzo di pino cembro lavorato al tornio. Pure torniti sono il coperchio, che rimane in sede per pressione ed attrito ed è più largo per formare appoggio alle labbra del lattonzolo, ed il beccuccio di bosso saldamente piantato nel suo centro.

1) Cadregon forà. Detta anche seggetta, predella, comoda, comodina, l'arredo di casa che anticipò il moderno vaso sifone con cateratta posto nell'abitazione e non all'esterno di essa. La seggetta possedeva un posabraccia (S) utile per persone anziane alle quali principalmente l'arredo venne dapprima destinato. Contro la sua parte aggirante posteriormente si arrestava la balta del comodo (E) fungente da schienale dopo essere stata alzata per scoprire l'apertura tonda dell'asse del comodo (F), sollevabile, sotto la quale era il cantero o orinale (O) di terracotta, destinato a ricevere gli escrementi.

2) Cassion dël còmod (comodo). Era destinato all'esterno dell'abitazione in apposito Posto del Comodo, vale a dire uno specifico sgabuzzino separato dall'edificio, oppure sistemato nello Stambugio (stanzino del buco) solitamente ricavato al lato estremo della balconata esterna. Il Cassone del Comodo(C) occupava in larghezza tutta la parete dello stanzino ad esso destinato, e sotto all'asse del comodo (U) vi era appunto il cantero (1/O), più tardi sostituito da un tubo a caduta diretta nel Bottino, il recipiente rimuovibile trasformatosi poi nel Pozzo nero. La Bocca dell'asse del comodo rimaneva costantemente chiusa con il Cariello o Carrello (L), un Turaccio di legno con manico.

Lavaman (lavamano). Era formato da un supporto a tre o quattro gambe reggenti un cerchio, pure esso di metallo, entro cui era sistemata la catinella di maiolica o di metallo smaltato, sempre accompagnata dalla brocca. Nel disegno la brocca è formata da un contenitore a forma di castello con sul davanti una specie di rubinetto per far colare l'acqua direttamente nel catino.

Bidé. Moderno recipiente per l'giene intima, ebbe sviluppo nel nord del nostro paese e particolarmente tra le popolazioni pedemontane, deve proprio il suo nome al sostantivo piemontese Bidet che definiva il piccolo cavallo da campagna d'origine nordica e di poco valore, il ronzino da sella che si italianizzò in Bidetto. Attorno al 1760, quando il versatile Bacino (A) venne adattato in un apposito mobiletto di legno sostenuto da quattro gambe di circa 40 cm, il sostantivo equino del linguaggio popolaresco passò per metafora alla nuova supellettile “da cavalcare” per servirsene. Il Bidè popolare (B) rappresenta l'evoluzione del primordiale “cavalletto” porta bacino. Un Bidè signorile del secolo XVIII è invece la figura C ove si notano i raffinati Posasapone e Portasciugamano


Àmsore e Amsoiròt (falce e falcetto). Si possono paragonare, come dice l'autore del libro, all'Airone (figura a), al Cigno (figura e) e al Falchetto (figura i). Quest'ultimo arnese, ossia l'amsoiròt, non si utilizzava per la mietitura, ma per la raccolta dell'erba, particolarmente nei canneti, per le prode e per chisciare laddove le ampie volute della Falce erano impedite da ostacoli ed anfratti. Di forma assomigliava alla Messoria (e), vale a dire che era rotondo, ma più piccolo di questa e con la lama più larga.

Arbi (bigoncia). La sola pigiatura delle uve si faceva dentro questo apposito attrezzo. Ancora in uso qua o là, un tempo era adoperata per l'ammasso dell'uva vendemmiata ed il suo trasporto con i buoi fino all'aia o alla cantina. Era fabbricata con grandi tavole di pioppo tenute insieme con chiodi cavicchi e vitoni rinforzati da chiavi a dado (b). Le due grandi assi formanti i fianchi superiori erano un tanto più lunghe per offrire quattro appigli (c). In centro al contenitore vi era una terza chiave mobile (a) ad aggancio, avente lo scopo di evitarne lo spancio a pieno carico. Gli uomini e per divertimento anche i bambini (quanti ricordi), pigiavano le uve il cui mosto veniva raccolto attraverso la Spina dopo aver rimosso lo Zaffo (d) di legno piantato avvolto in un pezzo di canavaccio.

Carëttin (carrozzo). Era la passione del ragazzo intraprendente e temerario; l'antenato indiscusso del Go-Cart, la realizzazione che ci promuoveva tecnici, ingegneri, elaboratori, carrozzieri, piloti. Veniva costruito con assicelle da casse e cassette, chiodi delle medesime, rigenerati, un bullone con dado e rondelle relative, bastoni da scopa. Le ruote: minimo tre cuscinetti a sfere per Carrozzi di seconda categoria, quattro per quelli di prima, tutti possibilmente della stessa misura per ragioni “direzionali”. Sospensioni: del tutto assenti, eliminate coraggiosamente. Guida: a pressione del piede sull'assale direzionale mobile anteriore. Propulsione: spinta o spintoni, pendenza, traino da ciclo; puntale, ossia manico di scopa usato con tecnica da gondoliere. Freni: doppio sistema: a frizione(tacchi delle scarpe) ad impatto(paracarri, cespugli, siepi, pali, muri e muretti, scalini e a volte le caviglie del Vigile Urbano). Parti principali: assale mobile direzionale anteriore (i); snodo centrale (k) a lubrifiaczione organica o salivale; sedile (h) a funzione connettente, fisso, a distanza calcolata invariabile.

Cirimela (lippa). Gioco degli ampi spazi (per evitare di spaccare vetri). Gli attrezzi erano due: il bastone (a) e la lippa (b) vera e propria da cui deriva il nome del gioco, entrambi ricavati da un manico da scopa o da ramo d'albero. La lippa possedeva due punte che permettevano, colpendone una con il Bastone, di alzarla e batterla al volo per tirarla. Sempre colpita al volo, sia alzata da terra con il Bastone che lanciata a mano, la lippa roteando nell'aria tesseva la fitta trama del gioco. Il Bastone aveva due funzioni: l'una di battere la lippa e l'altra quale unità di misura nella determinazione dei punti. Alla Lippa potevano giocare due o più ragazzi i quali si accordavano inanzi tutto sulla scelta del campo, sulla direzione del tiro e sul punteggio da raggiungere per vincere la partita.

Baudëtta (gaudietta) Suonare le campane a festa. Per suonare la Gaudietta, ossia per suonare le campane in doppio, come si diceva anticamente, bastavano due campane delle quali una veniva percossa con tocchi regolari ed intervallati. Dapprima fu la Campana Maggiore battuta con tocchi regolari di Martelletto a mano, mentre con un secondo martelletto si batteva sulla seconda in punti diversi per ottenere tonalità differenti. Successivamente le campane furono tre (da qui il verbo Tribaudëttè). In seguito i Mastri Campanari arricchirono via via il suono a festa rendendolo più complesso, ampio ed integrato da vere “arie” per eseguire la quali occorrevano almeno cinque Campane disposte come nel disegno. Ma non sempre disponevano di cinque bronzi, ossia cinque note. Escogitarono perciò il Batòcc scond (battaglio secondo) disegno sopra dove X è il manico forato-forgiato in ferro- per agganciarvi il tirante; Y è il gancio pure esso di ferro forgiato, per appenderlo al foro del battacchio. W è il corpo in legno a sezione tonda, sul quale scorreva la pera (K) metallica, da aggiustare alla conveniente altezza. La maniera di disporre le campane sui campanili variava da posto a posto ed era condizionata dal tipo di costruzione muraria e dal rapporto di dimensioni tra le campane stesse e la cella campanaria. Per la maggior parte erano disposte a cerchio, sullo stesso piano, come in figura, dove il Campanone o Prima Maggiore (1) riempiva da solo una finestra campanaria, parimenti alla: Seconda (2) ed alla Terza(3), mentre la : Quarta (4) e la Campanella o Quinta, Squilla (5) erano accoppiate in un unico vano.