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1) Brusacafè:
arnese metallico per abbrustolire o torrefare il caffè o
sostitutivi del caffè, formato da due coppe (1b) combacianti
a chiudere l'una con l'altra, formanti il Tamburo in cui
si metteva la materia da tostare, scuotendolo sul fuoco. L'attrezzo
era assicurato contro le improvvise aperture mediante l'incoccatoio
(1a) costituito da un anello aggancianbile all'uncino contrapposto,
entrambi all'estremità dei lunghi manici che fornivano l'effetto
molla per l'incocco. |
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Il brusacafè s'usava sul focolare del camino,
quasi sempre su un braciere ancora fiammeggiante. E poi, in pari
con il reumatico gomito destro della nonna, era pure un preciso
marcatempo emanando o meno, con il cambiar del tempo, il buon profumo
di caffè tostato di cui era impregnato. Ci si serviva anche
del
2) Tambur da cafëtté
(tamburino da caffè), in cui il prodotto da tostare s'introduceva
e si toglieva attraverso la bocchetta (2a). Era in definitiva niente
altro che un piccolo tamburo orizzontale il quale anzichè
muoverlo sul fuoco rimaneva fermo perchè a girare in tondo
nel suo interno era una spatola manovrata da una manovella
(2b) |
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Dopo la tostatura, poi, il caffè, l'orzo o i semi di
cicoria dovevano essere trasformati in polvere. Per fare ciò
venivano usati i cosidetti macinacaffè, o più semplicemente
macinini (moulin à cafè), che trionfavano
in tutte le cucine di un tempo, appoggiati sulla trave del caminetto
o sulla piattaia. Costituito da un cilidro alto circa 20 cm e con
un diametro di 10-15 cm, questo attrezzo, in ferro e metallo, poteva
avere dimensioni variabili a seconda della quantità i semi
da frantumare.
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L'erca
farinòira antica "arca" del pane (farinaio).
Il mobile più significativo della cucina, una madia sul cui
ripiano si usava anche impastare la pasta fresca e al cui interno
si usava conservare il pane. L'asse del tavolo ruotava sul suo piano
permettendo di accedere in ogni parte del cassone stesso. |
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«Con
la fam el pan dur a ven fròl» recita un vecchio
proverbio piemontese, il quale ricorda che se si ha fame, anche
il pane duro diventa morbido. Per la tradizione piemontese, tuttavia,
la gestione del pan secco costituiva un vero e proprio problema,
la cui risoluzione ha richiesto, almeno dal XVII secolo, l'invenzione
di uno strumento specifico. Quando il pane non si comprava tutti
i giorni dal fornaio più vicino, bensì si preparava
in casa e si cuoceva nel forno a legna della borgata, si provvedeva
a infornare, in una volta sola, una quantità di pagnotte
in grado di coprire il fabbisogno di tutta la famiglia per più
settimane. Sebbene conservato in ambienti arieggiati (l'erca
farinòira), dopo alcuni giorni induriva inesorabilmente. |
Il mociapàn
o tagliapane (dal verbo mocè, mozzare)era utile
proprio per tranciare le pagnotte e in questo modo potevano essere
consumate nel latte, nella zuppa o, previo ammorbidimento, in un
panno umido. Il mociapàn era costituito di due parti:
un tagliere di forma quadrilatera ed un grosso coltello munito di
un gancio ed ancorato al tagliere stesso mediante un anello di ferro. |
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S-cionfëtta
(fornello a carbone) o scaldapiatti. Era un bell'oggetto lavorato
in terracotta con la maestria dei vecchi artigiani. La brace introdotta
nel suo fornelletto (b) rimaneva rinvigorita dal tiraggio della
gratella (b) mantenendo caldo il piatto o il recipiente posato sul
suo bordo superiore. Questo tipo di scaldavivande permettave alla
famiglia intera o alla combriccola di amici di passare la serata
intorno ad un gagliardo tianetto di bagna càuda
e proprio dalla sua forma e funzione nacquero più tardi i
comodi recipienti individuali per il caldo intingolo. |
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Vasellame da bagna
càuda.
Sulla stufa o sul fornello, insieme al tempo, passarono
il tegame (D), che della terraglia da bagna càuda
è stato forse l'antesignano, dato che altro non è
se non il tianum magnum già noto e diffuso intorno
al 1300; la teglia (T), recipiente di terra, sempre senza manici.
Il fornellino (S), di rame stagnato, funzionante a brace, con l'incorporata
teglietta di coccio, insieme al fornelletto sono derivati dall'uso
del fornello (s-cionfëtta) che assicurava meglio il
calore alla terrina. Il fornelletto (F) di terra, è diventato
ormai il coccio moderno e diffuso tra i buongustai della bagna
càuda. Attraversola bocca del fornello (f) s'introduce
il combustibile per conservare calda la salsa. Il tiraggio è
assicurato dagli sfiatatoi (P). |
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a)
Frà dël let (trabiccolo da letto) o
prete, monaca, che a volte mi rese accoglienti
le lenzuola invernali nella casa in campagna dei nonni. Era tutto
di legno tranne il riparo di latta (un pezzo tondo, probabilmente
il fondo ritagliato da una latta) fissato con alcune viti sul ripiano
centrale che ne era la base. Quattro assicelle molto flessibili,
accopiate, fissate alle estremità e tenute allargate nella
parte centrale con quattro gambette. Lo chiamavano Monaca
forse per la forma che vista verticalmente rammentava lontanamente
il salterio cadente, sulle spalle d'una suora. |
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Altri, un pò
maligni lo chiamavano Prete perchè «teneva
caldo» e per altra ovvia allusione. La sua forma era molto
funzionante e facilitava la penetrazione tra le lenzuola che teneva
allargate affinchè il calore emanato si espandesse e le intiepidisse.
La sorgente di calore era principalmente la brace del fornetto o
della stufa, ma per le famiglie che potevano spendere era la mota
dël prëive o Salamino, ossia un cilindetto
lungo dodici centimetri per cinque di diametro di polvere di carbone
minerale compressa. b) Lo Scaudorin (scaldaletto
piccolo) contrariamente all'attrezzo precedente adatto per il letto
a due piazze, serviva per quello ad una. L'attrezzo era in rame,
con lungo manico per farlo scorrere sotto le coltri, quasi come
un gesto di stiratura delle lenzuola. c) La Scablëtta
invece era lo sgabello di latta o di rame o d'ottone, con coperchio
forato, per scaldare i piedi sulla quale si appoggiavano rimanendo
seduti. Funzionava con la cenere che ha ancora della brace e del
fuoco. |
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Fer da stiré.(L) Era l'attrezzo per
stirare che si riscaldava per contatto con una sorgente calorica
esterna, quale la fiamma a gas, il braciere o una qualsiasi base
riscaldata generalmente rappresentata dalla piastra della stufa.
Fer a cassiòt.(A) Caratterizzato
da una cassetta o contenitore dentro cui si poneva la brace prelevata
dalla stufa o dal fornello, da ravvivare poi con il carbone di legna
che era il combustibile per questi attrezzi. era il popolare ferro,
notissimo perchè riprodotto in gran numero d'esemplari per
accontentare la passione amatoriale. Il corpo di questo attrezzo
costituisce la cassetta alla cui base sono gli aeratori (B) permettenti
il passaggio dell'aria che alimentata dal combustiione fuoriusciva,
sotto forma di gas residuati, dagli sfiatatoi (C) del coperchio. |
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Bote
'd cossa (zucche bottiglia). Costituivano la pratica utilizzazione
di un prodotto della natura, ossia la cosiddetta Zucca del Pellegrino,
nelle sue varie forme(c), che raccolta ben matura si poneva a seccare
in luogo riparato dopo di che, apertavi una bocca tonda, si svuotava
del contenuto levigandola successivamente all'interno agitandovi
sabbia e ghiaietta ben asciutte. Il recipiente si faceva poi avvinare
per dargli l'odore ed il sapore del vino, riempiendolo di questo
e lasciandolo che s'impregnasse in tutte le sue parti interne, nel
corso di una luna intera; ovviamente sostituendo il vino ogni giorno
per evitare l'inacidimento e la rovina del recipiente. La lunga
e non facile preperazione rendeva la zucca da vino un oggetto prezioso
da usarsi con particolare cura e quando per disavventura si fosse
incrinata, la si riparava con la pelle di una rana. Non sto a spiegare
il lungo e laborioso lavoro che si faceva con la rana. Il vino in
questo recipiente si manteneva a lungo fresco come se fosse stato
appena preso dal crotin. |
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